Il balcone di Giulietta
Shakespeare non ne parla, dice solo che Giulietta si affacciò a una finestra, ma il balcone appare nella storia di Luigi da Porto (Historia, 1524) ripresa poi da Matteo Bandello (Novelle, 1554), la probabile fonte italiana del Bardo. Un balcone, a un certo punto, venne dunque aggiunto alla probabile casa dei Capuleti (i Cappelletti, mercanti che venivano da Cremona), la casa che ancora oggi ha un cappello come insegna versava allora in pessime condizioni con un cortile di terra battuta in cui razzolavano galline e maiali.
Fu Antonio Avena, nel 1937, allora direttore dei musei civici, che per dare seguito al mito recuperò le pareti di un sarcofago che giacevano dimenticate nel cortile di Castelvecchio, e fece costruire il balcone. L’idea gli venne mentre accompagnava gli scenografi di George Cukor in visita alla città per disegnare gli scenari che poi ricostruirono in studio, a Hollywood, per il colossal cinematografico della Metro Goldwin Mayer (1936) che fu un successo mondiale. I luoghi di Verona coinvolti nella storia (la casa, la chiesa, il sepolcro) erano già stati visitati da illustri pellegrini del romanticismo ma il balcone di Giulietta, fu, forse, il primo esempio di invenzione e ricostruzione fisica di un mito senza tempo, un luogo finto per fare la fortuna di una città vera. Oggi la casa di Giulietta, la seconda attrazione di Verona, è un fenomeno mondiale: ha migliaia di visitatori e riceve migliaia di lettere (dove chi soffre per amor scrive un suo messaggio) a cui rispondono decine di volontarie (il Juliet Club), ha un premio “Cara Giulietta” che ogni anno racconta le lettera più belle. Su questo aspetto è stato girato anche un film americano di Garit Winick (2010): Letters to Juliet.
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